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Quali sono i modelli organizzativi dell’era delle incertezze?

Sempre più liquida e dai confini sfumati. Il ripensamento dell’organizzazione e dei modelli per governarla è al centro dell’attenzione delle aziende, chiamate ad affrontare una serie di rivoluzioni organizzative, tra cui quella del nuovo modo di concepire il lavoro. Le tecnologie – si è visto dall’inizio della pandemia – giocano un ruolo importante per il nuovo assetto delle organizzazioni, ma da sole non bastano: serve un cambiamento più profondo che tenga conto dell’evoluzione del contesto socio-economico, delle nuove necessità del mercato e anche dei bisogni delle persone in azienda.

L’emergenza sanitaria iniziata nel 2020 ha dato un’accelerata a un processo già in atto, come il cambiamento delle gerarchie e dei modelli di leadership di stampo fordista, in crisi ben prima della pandemia. Ma in più di un caso tutto questo, almeno durante il periodo pandemico, si è tradotto con l’applicazione di modelli organizzativi ‘deboli’ e in grado di dare risposte alle sole sfide attuali che di fatto snaturano l’organizzazione, obbligandola a plasmarsi sulla contingenza, senza preoccuparsi di essere sostenibile nel tempo.

Ripensare le organizzazioni nella nuova normalità

La ‘normalità’ nata dall’era pandemica ha l’urgenza di essere interpretata e concretizzata da modelli teorici a quelli pratici; i tempi attuali impongono un ripensamento di quei modelli organizzativi codificati negli anni. L’analisi di nuovi modelli organizzativi e la proposta di quelli che possono interpretare al meglio le sfide attuali caratterizzano da sempre Sviluppo&Organizzazione, la più prestigiosa rivista italiana di organizzazione aziendale, fondata nel 1970 da Pietro Gennaro e pubblicata da oltre 50 anni (per la celebrazione del 50esimo della rivista è stato realizzato 50 anni di sviluppo organizzativo, il cofanetto raccolta degli articoli più significativi pubblicati dal 1970 al 2020). La discussione dei modelli organizzativi è il focus anche dell’evento promosso dalla rivista, Forum di Sviluppo&Organizzazione, che il 6 e il 7 ottobre 2022 apre un nuovo confronto sui temi organizzativi più attuali e propone riflessioni argomentate e documentate grazie alle testimonianze di esperti di organizzazione italiani e stranieri.

La continua fioritura di proposte organizzative mette in discussione paradigmi consolidati, modelli prevalenti e abitudini radicate, imponendo un ripensamento delle organizzazioni per individuare le soluzioni per rispondere all’era delle crisi iniziata con la pandemia. Un’analisi è quella proposta dal convegno promosso da Sviluppo&Organizzazione dal titolo Organizzazioni robuste nell’era dell’imprevedibile, la cui sintesi è stata di coinvolgere le energie intellettuali e morali presenti nelle imprese e nelle organizzazioni per costruire modelli realmente ‘robusti’ e capaci di resistere anche alle sfide non ancora note.

Lo Smart working rivoluziona gli assetti organizzativo

Una delle risposte più diffuse alla crisi che stiamo vivendo è stata l’applicazione dello Smart working, declinato come la possibilità di lavorare soprattutto da casa (meglio allora definirlo “Home working”), ma alle stesse condizioni di prima. Eppure la parola “smart” dovrebbe lasciar intendere un cambiamento ben più profondo rispetto all’organizzazione del lavoro: per esempio il passaggio dallo scambio ‘denaro per tempo’ all’orientamento ai risultati che da una parte offre ampia autonomia alle persone, dall’altra impone la responsabilizzazione rispetto alle attività da svolgere e agli obiettivi da raggiungere.

Il potenziamento della produttività dell’impresa e la generazione di uno spirito imprenditoriale nelle persone ha così generato uno degli argomenti più dibattuti: già nel 2021, in piena pandemia, la casa editrice ESTE ha focalizzato l’attenzione su ciò che gli esperti hanno definito “lavoro ibrido”, analizzandolo attraverso il convegno digitale dal titolo Lavorare liquido oltre lo Smart working durante il quale si è ragionato del concetto di ‘lavoro senza luogo e senza tempo’, immerso nell’era digitale, che impone una forte discontinuità rispetto a quello legato al passato.

In concreto, la nuova forma di lavoro – sia esso esclusivamente a distanza oppure ibrido – richiede una serie di attività che rivoluzionano l’organizzazione; si pensi solo alla creazione e all’uso dei nuovi spazi lavorativi: nella pandemia si è abbandonato il concetto di open space in virtù di ambienti ibridi, composti da sale per la condivisione (a forte vocazione tecnologica) e da postazioni isolate, ideate per consentire alle persone di concentrarsi. Per fare il punto su tutte le forme di lavoro che sono etichettate come “Smart working”, il numero di marzo 2022 di Persone&Conoscenzela rivista della ESTE considerata la più importante pubblicazione indipendente in Italia dedicata alla Direzione del Personale – dedica l’inchiesta al tema, proponendo una serie di approfondimenti all’interno dell’ampio titolo “Smart working, a che punto siamo?”, il cui obiettivo è di indagare proprio gli aspetti più ‘nascosti’ e operativi legati alla gestione del lavoro ibrido.

Il punto di partenza – al di là dei confronti sterili proposti dalla stampa generalista e delle provocazioni gratuite – è che non può essere il lavoro agile di per sé a rivoluzionare il lavoro, né a rendere automaticamente belle e innovative le organizzazioni. La questione è stata affrontata da Pier Luigi Celli, ex dirigente d’azienda (è stato Direttore Generale della Rai) saggista e scrittore, nel libro dal titolo

La vita non è uno Smart working (ESTE, 2021): cambiare è possibile, ha scritto l’autore, e forse anche molto interessante, nell’ottica di ridare una dignità maggiore al lavoro e sfruttando quanto la vita, le relazioni e le emozioni di questi tempi possono offrirci (qui è possibile riviviere la presentazione del libro all’interno del ciclo di incontri Letture manageriali – Dialogo con gli autori).

RISORSE PER APPROFONDIRE:

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