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Tecnologia e organizzazione per la trasparenza salariale

È iniziato il conto alla rovescia all’entrata in vigore dell’obbligo di trasparenza salariale, introdotto
con la Direttiva Ue 970/2023: la data da segnare in rosso è il 7 giugno 2026 (è il giorno entro il
quale l’Italia deve recepire la norma europea)
. Ci sarebbe da correre, perché si preannuncia una
piccola rivoluzione: niente più ‘segreti’ sulle retribuzioni. Le Risorse Umane sono in fibrillazione,
perché l’obiettivo è che – entro alcuni limiti – le retribuzioni siano rese pubbliche. E l’obbligo varrà
per tutti dalle grandi alle piccole
, con tempistiche differenti.

Eppure le aziende non sembrano granché consapevoli della portata della normativa. I dati della
quarta edizione dell’Osservatorio Zucchetti HR hanno evidenziato che il 27% delle aziende
coinvolte nell’analisi è disposta a indicare esplicitamente la Ral
negli annunci di lavoro (questo è
un altro punto cruciale della norma Ue), ma appena il 3% delle altre imprese si è detta
intenzionata a farlo a breve.

A questo ritardo si somma la norma non chiara: “Per ora esistono solo le linee guida fornite dalla
direttiva, ma per l’Italia, così come per altri Paesi, manca il decreto attuativo per implementarle e
recepirle
nel proprio ordinamento”, sottolinea Francesco Pepi, Team Leader HR Digital
Transformation Consulting di Zucchetti (nella foto il garden interno del Village di Lodi, nuovo headquarter). Il risultato? “Perimetri dubbi”. Che vuol dire: “Le certezze
non sono molte
al momento”.

C’è però un’eccezione e riguarda la comunicazione esterna ed è l’aspetto più noto: “È l’obbligo per
le aziende di indicare la Ral negli annunci di lavoro e il divieto di chiedere informazioni sulla
retribuzione attuale del candidato”, prosegue il manager. La norma, in questo caso, è
inequivocabile. All’articolo 5 si chiarisce infatti che i candidati avranno il diritto di ricevere dal
potenziale datore di lavoro informazioni sulla retribuzione
iniziale o sulla relativa fascia da
attribuire alla posizione in questione, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del
genere.

A questo proposito è bene ricordare che la direttiva nasce con lo scopo di dare finalmente
attuazione a una reale parità – retributiva e non solo – tra uomini e donne. In questo senso, si
chiede di condurre procedure di assunzione in modo non discriminatorio. In più diventerà illegale
interrogare i candidati sulle retribuzioni
percepite negli attuali o precedenti rapporti di lavoro.

La tecnologia è indispensabile per rispettare la norma

Fin qui le certezze, perché il resto della normativa è più nebuloso. “Si dovrà, per esempio, fare
chiarezza su che cosa si intenda per retribuzioni fisse e, soprattutto, variabili, che è il concetto
utilizzato dalla norma, perché bisognerà capire come valorizzare benefit, bonus e altre
componenti non fisse”, prosegue Pepi. A quel punto il confronto sarà su un terreno più ampio. E
attenzione poi a un eventuale equivoco: non si è sanzionati in automatico nel caso si riscontri un
gap salariale. “Se, per lavori uguali o di pari valore, una retribuzione individuale presenta uno
scostamento superiore al 5% rispetto alla media, spetta all’azienda giustificare il motivo di quella
differenza”.

Alla luce di queste considerazioni, le aziende dovrebbero cominciare, già da adesso, a lavorare su
questo e sugli altri obblighi nascenti. Ciò che sicuramente le organizzazioni possono fare, fin da
ora, è iniziare a valutare con quale logica raggruppare la popolazione aziendale ai fini dei confronti, e capire se sia necessario rivedere eventuali clausole di riservatezza nei contratti,
ragiona il manager. Perché il punto chiave che va chiarito per ottemperare alla direttiva è come
incasellare in cluster le retribuzioni dei dipendenti. “La norma chiede che si possano fare confronti
rispetto a colleghi con ruoli simili o di pari valore”, prosegue Pepi. Ma che cosa si intende
esattamente? Il nodo sarà proprio ridisegnare l’organico da questo punto di vista.

In questo caso la tecnologia può fornire un valido (e necessario) supporto: “Possiamo assistere le
aziende attraverso tool che sono in fase di sviluppo e che serviranno a generare i cluster e ad
analizzare al loro interno le retribuzioni e gli eventuali gap”, ammette il manager di Zucchetti. Ma
ancora, sorge l’altro vero dubbio: “Molto dipenderà dalle specifiche che verranno introdotte dal
decreto italiano: sarà in quel momento che capiremo se alle organizzazioni verrà lasciato un
margine di interpretazione gestionale oppure se saranno previste indicazioni più stringenti”. Solo
allora si potrà comprendere come interpretare e applicare la norma nel dettaglio.

Non va dimenticata un’altra questione centrale. L’obbligo di rendicontazione, segnalato all’articolo
9 della Direttiva Ue e in questo caso valido solo per le aziende con più di 100 dipendenti e alcune
limitazioni per quelle tra 100 e 250 dipendenti: “Il Legislatore dovrà chiarire tutti gli adempimenti
riguardo le comunicazioni agli enti di controllo”. Perché di nuovo, l’assenza di criteri esatti genera
preoccupazione: “I rischi che corrono le imprese coinvolte sono sanzioni e contenzioso”.

L’articolo Tecnologia e organizzazione per la trasparenza salariale proviene da Parole di Management.