Rapporto Cnel, la meglio gioventù dice addio all’Italia
Renato Brunetta, Presidente del Cnel, presentando il rapporto L’attrattività dell’Italia per i giovani dei Paesi avanzati, ha detto: “Ci vorrebbe una rivoluzione culturale copernicana per risolvere questioni complesse come quella della denatalità e della glaciazione demografica”. E ce ne vorrebbe forse una anche per far rientrare dall’estero, dopo essere partiti – magari per un’esperienza di studio o di lavoro i circa 630mila 18-34enni emigrati tra il 2011 e il 2024. Il saldo, al netto degli immigrati, è pari a -441mila persone. Nel solo 2024 sono -61mila.
Significa che dopo aver superato i confini nazionali i giovani decidono di non far rientro, andando a spolpare le già magre fila delle nuove generazioni, sempre di più una minoranza. I giovani erano 15,2 milioni nella metà degli Anni 90 e 10,24 nel 2024 nonostante l’arrivo – ha specificato Brunetta – di quasi 2 milioni di ragazzi provenienti da Paesi a basso reddito. In assenza di nuovi ingressi, nel 2040 caleranno ancora fino a quota 8,8 milioni.
L’emigrazione più dal Nord che dal Sud
Se ne vanno in tantissimi: complessivamente gli expat 2011-24 corrispondono al 7% dei giovani residenti in Italia nel 2024. Colpisce poi che a espatriare non è solo chi proviene dalle Regioni più svantaggiate del Sud. Il 49% di chi va all’estero è di origine settentrionale, superando il 35% del Mezzogiorno. Le tre regioni con il valore maggiore sono Lombardia (28,4 miliardi), Sicilia (16,7) e Veneto (14,8). Ma del resto il Mezzogiorno, secondo i dati Svimez, tra il 2021 e il 2024 ha registrato una crescita del Pil dell’8,5%, superando la media nazionale e il Centro Nord (+5,8%). Tra la spinta del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e il potenziale della Zes si è reso più competitivo di altre parti d’Italia.
Quanto vale invece la perdita di capitale umano dovuta agli expat? Ben 159,5 miliardi secondo il Cnel, calcolando il saldo migratorio più il costo sostenuto dalle famiglie e, per la sola istruzione, dal settore pubblico, per crescere ed educare gli italiani emigrati. Sul Pil il peso percentuale è del 7,5%.
Addio ai giovani più qualificati
Uno dei nodi è che a lasciare il Paese sono i ragazzi più qualificati. “Fuga dei cervelli” è l’espressione più usata e talvolta al centro delle polemiche. Ma rispecchia i fatti: tra chi ha lasciato il Paese nel triennio 2022-24, il 42,1% è laureato, in aumento rispetto al 33,8% dell’intero periodo 2011-24. Al di sopra o vicini alla metà Trentino (50,7%), Lombardia (50,2%), Friuli-Venezia Giulia (49,8%), Emilia-Romagna (48,5%) e Veneto (48,1%). Le quote più basse si registrano in Sicilia (26,5%) e Calabria (27,2%). Non trovano sbocchi per mettere a frutto le competenze maturate, così si guardano altrove e salutano casa per mete dove saranno – forse – più valorizzati.
Il rapporto giunge anche a un’altra conclusione. Sarebbe normale il fenomeno degli expat, “perché le economie mature di per sé sono in competizione per l’attrattività”, ha osservato Brunetta. Ma sul fronte opposto il nostro Paese richiama giovani stranieri? Molto poco. L’Italia da un lato è destinataria di flussi dai Paesi più poveri, dall’altro lato non ne riceve altrettanti da Paesi avanzati. È questo che la contraddistingue in negativo, spiega il report del Cnel. “La sua scarsa attrattività è la cartina di tornasole di quei ritardi che l’Italia ha progressivamente accumulato nel corso di decenni”, ha commentato il Presidente del Cnel
Salari più alti e più prospettive di carriera
Come si esce dallo stallo? “Servono salari e prospettive di carriera più competitive, costo della vita sostenibile, investimenti in innovazione e ricerca, una nuova cultura del lavoro e della meritocrazia”, è la ricetta di Brunetta. Che parla anche di “serbatoi” da cui attingere. Come per esempio gli 1,3 milioni di giovani Not in education, employment or training (Neet) tra i 15 e i 29 anni. Una potenziale leva della modernizzazione strutturale e valoriale, per arrivare all’obiettivo di 27-28 milioni di occupati entro la fine del decennio.
E poi superare il gender gap nel mercato del lavoro e il tasso di inattività femminile tra i più alti in Europa: “Secondo l’Ocse colmare il divario – soprattutto tra le nuove generazioni – potrebbe garantire all’Italia il maggiore incremento del Pil pro capite tra tutti i Paesi europei”. Un vero booster per un’Italia che non sia più fanalino di coda. Mettere i giovani al centro. Conviene a tutti.
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