Povero ceto medio
L’impoverimento del cosiddetto ceto medio è il frutto del trend della situazione generale e di sue alcune specificità. Dal punto di vista generale, tale impoverimento dipende dalla riduzione del potere d’acquisto delle retribuzioni italiane che hanno comportato anche un aumento del numero di famiglie con redditi inferiori alla soglia di povertà. Sicuramente è in corso un abbassamento del baricentro del livello retributivo di tutti gli italiani: tale situazione negativa è particolarmente evidente se confrontata con quella degli altri Paesi dell’Europa occidentale, che hanno invece visto crescere il loro potere d’acquisto di almeno il 30% dal 2008 a oggi. Tale fatto ci risulta molto evidente quando ci troviamo all’estero…
Una causa di questa riduzione è stato il fiscal drag, che ha particolarmente intaccato tali redditi a causa dell’elevata inflazione degli ultimi anni (un cumulativo di circa il 14% fra 2022 e 2023). Ma fra le cause c’è anche qualcosa di strutturale, dovuto cioè alla staticità e all’impoverimento dell’economia del Paese. Il fatto che il Prodotto interno lordo in termini reali non cresca dal 2008, significa che il valore aggiunto dei nostri posti di lavoro non è aumentato da allora (mentre è aumentato di almeno il 30% degli altri Paesi di riferimento).
Perché le retribuzioni sono inevitabilmente determinate da tali valori aggiunti, questo fatto comporta di per sé una impossibilità di aumento delle stesse. Facendo un confronto con la Francia, le retribuzioni lorde rappresentano in entrambi i Paesi il 67% del valore aggiunto dal posto di lavoro. Quindi la bassa entità di quelli italiani non va ricercata nella mancanza di contrattualità negli anni passati (come sostenuto da alcuni), perché le retribuzioni dei due Paesi sono semplicemente allineate ai relativi valori aggiunti.
In effetti, però, anche la Francia sta soffrendo ora di staticità economica e debole (o nullo) sviluppo. Mentre è vero che in Italia dal 2021 la produttività del lavoro è aumentata del 2% (e questo giustificherebbe un aumento dei salari corrispondente), occorre considerare che la Produttività totale (PTF) delle imprese invece non è affatto aumentata, perché sono aumentati per loro altri costi strutturali. Non ci sarebbero quindi spazi per aumenti retributivi. Ma il problema non è comunque dell’ordine di grandezza di tale 2%: manca all’appello almeno un 25%.
Ci mancano le aziende grandi (che pagano di più)
Tra le cause che più hanno impattato sul livello retributivo del ceto medio, la principale è forse quella costituita dalla quasi sparizione dall’Italia delle grandi aziende e delle multinazionali. È in esse che risultava occupata buona parte del nostro ceto medio e in tali aziende la retribuzione media era – ed è ancora nelle poche rimaste – superiore dell’8-9% rispetto a quella delle Piccole e medie imprese (PMI).
Sulla retribuzione dei Quadri (baricentro del ceto medio) impatta anche il mix del valore aggiunto dai loro posti di lavoro, combinato con la loro scolarità e competenza personale (che sicuramente condiziona il livello retributivo). Come ben sappiamo, l’Italia è ora largamente ultima in Europa in laureati e periti tecnici e in particolare nelle discipline Stem (Science, technology, engineering, mathematics), cioè quelle che più oggi servono per creare valore aggiunto nel nuovo mondo digitalizzato.
Abbiamo carenza di entrambe le cose: pochi posti di lavoro Stem e poche relative competenze nei lavoratori. Ovviamente in questo binomio prevale, come causa principale, la mancanza di posti di lavoro Stem, determinata dall’arretratezza dei nostri prodotti e servizi (poco impattano percentualmente sul Pil le spesso magnificate eccellenze italiane).
Occorre però forse fare una ulteriore considerazione. Se è probabilmente colpa del posto di lavoro il fatto che un nostro lavoratore, che lavora 1.760 ore all’anno, produce meno valore aggiunto di un tedesco che ne lavora 1.400, non dobbiamo sottovalutare l’importanza delle competenze e capacità. A questo riguardo non dovremmo dimenticare – anche se facciamo di tutto per farlo – che anche i nostri pochi diplomati e laureati sembrano avere un problema a riguardo.
Infatti, i test dall’Ocse evidenziano che un diplomato dei Paesi nordici è molto più competente e capace di un laureato italiano. E ciò vale per tutti gli aspetti esaminati: cultura generale, capacità matematiche, capacità di ragionamento logico… Possiamo anche considerare la cosa non determinante, ma il fatto di essere ultimi a riguardo su 31 Paesi sviluppati esaminati, dovrebbe fortemente preoccuparci.
L’effetto negativo dell’ecommerce sui negozi
Il ceto medio è anche in buona parte costituito dalla popolazione dei proprietari delle attività del commercio, in particolare del Retail, cioè dei negozi al dettaglio. Probabilmente questa era in passato una delle categorie più presenti e più ricche del ceto medio. Ebbene, nell’ultimo decennio il numero di negozi si è ridotto del 22%. Ma non è diminuito il numero degli addetti: nello stesso periodo è aumentato del 6,2%. Ciò significa che si sono persi molti proprietari dei negozi e sono aumentati gli impiegati delle grandi organizzazioni commerciali.
Ovvio che le retribuzioni tali persone non sono elevate e probabilmente non fanno parte del ceto medio. Un loro aumento numerico ha sicuramente abbassato il salario medio degli italiani, ripercorrendo il fenomeno già registrato nel Turismo, anch’esso con posti di lavoro a salari più bassi della media. Non a caso oggi assistiamo a un aumento dell’occupazione, ma a una riduzione del salario medio.
La causa della drastica riduzione dei commercianti al dettaglio, ma anche dei dealer (i grossisti), è stata ovviamente l’affermarsi dell’ecommerce, che ha avuto un overboost nel periodo della pandemia Covid e che si è in buona parte consolidato successivamente. L’effetto di ciò ha avuto un notevole impatto sulle persone coinvolte nelle catene commerciali e logistiche. Tale fenomeno non è sufficientemente considerato anche in tutte le nostre valutazioni sull’andamento del Pil.
Oltre a impiegare nella sua distribuzione personale con bassi salari (che abbassano il medio nazionale), l’ecommerce ha dato una grossa spinta negativa al nostro Pil. Infatti si è sostituito alle ultime ‘due miglia’ commerciali precedentemente esistenti: quella dei grossisti e quella dei negozi al dettaglio. E così tutto il valore aggiunto da loro generato precedentemente sui prodotti da loro importati (differenza tra il prezzo di acquisto il prezzo di vendita) è sparito. Infatti, buona parte dei prodotti di importazione ora è fatturata al cliente in ecommerce da parte delle filiali estere dei big del settore o addirittura dal fornitore estero. Tutto quel valore aggiunto (Pil) è sparito dall’economia italiana.
Italia attrattiva solo per le basse competenze
L’ultimo aspetto che impatterà sempre di più sui redditi e sulla tipologia stessa del ceto medio è connesso alla riduzione demografica in corso e alla tipologia e mix della sua piramide. Le proiezioni Istat ci dicono che, dato l’attuale tasso di natalità, tra 20 anni la popolazione lavorativa sarà inferiore del 20% rispetto a quella attuale. Tutti ci auguriamo che parte o tutto quell’ammanco sia coperto da immigrati. Ma, oltre alle ricadute sul sistema sociale, tale cambiamento impatterà anche sulla componente ceto medio.
Sicuramente molti immigrati saranno impiegati in attività del Retail e già alcune attività – per esempio il commercio di fiori, la vendita di frutta e verdura… – sono in larga parte nelle loro mani. Sicuramente saranno loro a occupare la maggior parte dei ‘lavori poveri’ che gli italiani non vogliono più fare e che non saranno comunque in numero sufficiente per farlo. Ma chi saranno gli impiegati nei posti di lavoro a maggior valore aggiunto? Anche qui ci servirebbero immigrati, ma quelli con scolarità e competenze adeguate. E qui emerge l’altro problema. L’Italia non offre loro la retribuzione al livello degli altri Paesi europei e quindi queste persone non vengono (e non verranno) da noi. Contemporaneamente i nostri giovani formati e competenti vanno e andranno all’estero dove sono meglio pagati.
Quale sarà dunque il destino del ceto medio tra 20 anni? Il trend di cambiamento di questa categoria sia dal punto tipo del ruolo economico sia per gli aspetti reddituali, è già in atto ed è più determinato dai cambiamenti strutturali della nostra economia che dalla relativa fiscalità e contrattualistica. Ma purtroppo si parla più di questi ultimi aspetti che di quelli strutturali. Come del resto accade anche per il Pil: il problema è strutturale, cioè come fare per aumentarlo in modo sistematico. Invece parliamo di Pil solamente per decidere come usarlo. E intanto tutto si riduce…
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