Lavoro, la Manifattura è ancora sexy
A poca distanza dal fenomeno della Great Resignation i recruiter sono ancora alle prese con il problema del reperimento e anche del cosiddetto ‘trattenimento’ dei talenti. La congiuntura economica è ora cambiata e la questione non è più l’emergenza delle grandi dimissioni. Ma il trend prosegue e adesso le persone tendono perfino a cambiare carriera, oltre che posizione, come ha evidenziato di recente il World economic forum.
In testa pende la spada di Damocle dei cambiamenti tecnologici: le competenze sono diventate talmente volatili che non basta il reskill, quindi l’acquisizione di nuove conoscenze, ma costringe a reinventarsi in altri ruoli specie se quello che si ricopre non è estremamente specialistico.
Il problema del lavoro quindi resta. Ed è un macigno per gli imprenditori, che devono affrontare il costo della mancanza di personale e della continua ricerca di persone. Mentre i lavoratori si destreggiano tra vacancies dove si può restare a lungo, ricompensati da carriere stabili e acquisizione di competenze, e impieghi ‘tossici’, senza possibilità di crescita e basse retribuzioni.
I lavori che non si lasciano scappare
Le sfumature sono diverse a seconda dei casi. Ci sono lavori, come ha riportato un articolo di Quartz, dove le persone sembrano mettere radici. Altri invece da cui non vedono l’ora di fuggire. Quel che è certo è che è il tasso di turnover a fornire il polso della situazione: più è alto e più è indice di qualcosa che non funziona.
Media, comunicazione e arte sono i settori in cui i lavoratori tendono a restare di più. A dirlo è un sondaggio di Indeed. L’impressione è che il comparto sia peculiare, essendo il business basato sulla creatività delle persone e si cerchi così di incoraggiare la lunga durata dell’impiego. Segue il mondo tech. Qui i professionisti si licenziano molto poco, ha svelato uno studio Mercer. Il turnover è appena dell’8,2%, che è più alto della media globale, ma è ancora inferiore rispetto ad altre aree dei servizi.
Del resto nel settore le ricompense non mancano: stipendi alti e possibilità di carriera sono grandi ancore della ‘retention’. E lo stesso vale anche per medici e chirurghi. A ‘incollare’ i professionisti alle poltrone sono la lunga formazione e i forti incentivi che offrono le aziende che li accolgono.
La sorpresa della Manifattura
Anche la Manifattura, forse un po’ a sorpresa, fa parte del settore con i lavori più ambiti. Un report di Second Talent ha assicurato che il tasso di turnover non supera il 18,9%: una quota molto più bassa di tanti altri servizi ad alto tasso di abbandono. Una spiegazione ci sarebbe: il lavoro manuale, dove il perfezionamento delle abilità conta molto, spinge a non cercare altrove e a resistere più a lungo possibile.
Ma l’attaccamento verso un mestiere si verifica anche quando di mezzo c’è un impegno e un’etica: è il caso per esempio dei presidi scolastici, che tendono a restare in media cinque anni al loro posto. Ad attrarre molto meno è invece il Retail, come ha sottolineato di nuovo Mercer. Qui il turnover volontario è del 37%, ben al di sopra della media. Il segnale che il malcontento serpeggia. Colpa di paghe minime, orari instabili e scarse possibilità di crescita professionale.
Ancora peggio va, più in generale, nel settore food e ristorazione, dove il ricambio di personale (la fonte è sempre Second Talent) arriva al 75,2%: il lavoro stagionale, i bassi salari e la forte pressione dovuta al tipo di lavoro rendono la vita dei lavoratori più difficile e abbassano la soglia di sopportazione. Lo stesso succede nel Turismo. Qui il tasso di abbandono è del 25%, come conseguenza della tipologia di offerta, per lo più posizioni saltuarie ed entry level.
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