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Italia e AI: investimenti alti, risultati bassi

L’Italia vede di buon occhio l’Intelligenza Artificiale (AI) e lo dice chiaro: dal sondaggio Red Hat 2025 emerge che più del 75% dei capi IT pensa che tra tre anni il Paese possa giocare un ruolo importante a livello mondiale in ambito AI. Una visione positiva, certo, però non così alta come in realtà vicine come la Spagna, la Germania, l’Olanda o la Svezia dove quasi tutti ci credono (oltre il 98%). Questo impulso porta a scelte precise: in Italia, le aziende pensano di aumentare del 35% la spesa per l’AI entro il 2026; intanto, l’AI è terza nella lista delle priorità tecnologiche, subito dopo sicurezza digitale e riduzione dei costi.

Il dato più inaspettato, quasi allarmante, è che 86 aziende su 100 in Italia dicono di non averci guadagnato nulla con l’AI, almeno finora. Secondo Giorgio Galli, Director Tech Sales, Red Hat Italy, è un campanello d’allarme: “L’AI e la sicurezza sono al top delle richieste tecnologiche; però c’è una distanza netta tra quanto si spende e i risultati concreti. Un problema legato pure a barriere solide, tipo l’assenza di ritorni misurabili, strutture troppo deboli oppure divisioni rigide tra reparti informatici ed esperti di intelligenza artificiale”.

A peggiorare le cose c’è la diffusione dell’AI ‘nascosta’: nel 93% dei casi, i lavoratori usano tool automatici non approvati, soprattutto quando mancano risorse oppure gli strumenti interni sembrano poco efficaci. C’è poi la questione delle abilità. Un’azienda su due in Italia dice di avere poche competenze sull’AI, meno della media dell’area Europa-Medio Oriente-Africa, dove invece arriva a sette su 10. In molti nel nostro Paese pensano sia essenziale migliorare le capacità individuali e generiche, insieme con le conoscenze sulla protezione dei dati, oppure sulle strategie aziendali.

Il problema più difficile rimane collegare l’AI ai dati e ai sistemi già presenti in azienda. Alcuni responsabili IT pensano che sia utile formare le persone a usarla bene, così da capire come inserirla nei flussi di lavoro quotidiani.

Serve tornare proprietari dei processi

Rodolfo Falcone, Amministratore Delegato, Red Hat Italy, vede una svolta storica: “Ora viviamo nell’epoca dell’AI per tutti, 1 miliardo di persone ci può giocare”. A suo giudizio, però, nascono dubbi rilevanti: come usare questa tecnologia senza fare danni? E poi, com’è possibile tornare a fidarsi quando ognuno inventa qualunque cosa? Infine, quanto conta ancora ciò che impariamo con le nostre mani, ora che sapere è gratis per tutti?

Falcone ha notato come chi sfrutta l’AI va più veloce ed è più motivato. Però ha messo in guardia: questo cambiamento potrebbe trasformare davvero tanto il modo in cui interagiamo con la tecnologia. “Non decidiamo più noi, ora chiediamo e basta, sperando vada bene. Dovremo imparare a capire i risultati, non solo come sono fatti”, è la sua tesu. Un pensiero che guarda avanti, verso il prossimo passo della tecnologia: l’AI capace di agire da sola. Qui i sistemi non si limitano a rispondere, bensì scelgono come muoversi, organizzano azioni e le portano a termine senza bisogno d’aiuto.

Il mondo del software libero conta molto

Per chiudere lo spazio tra obiettivi e risultati concreti, diverse imprese italiane scelgono soluzioni tech senza barriere. A quanto emerge da un’indagine, condotta da Censuswide tra il 13 e il 17 agosto 2025, che ha coinvolto poco più di 9mila Responsabili e Direttori IT (compresi i ruoli relativi alle infrastrutture e alle infrastrutture cloud) e ingegneri AI (compresi ingegneri software in AI/ML, ingegneri NLP e LLM e data scientist) di aziende con oltre 500 dipendenti in tutta l’area Emea, (100 rispondenti erano provenienti dall’Italia), sette professionisti su 10 vedono il software libero d’azienda come un tassello chiave nell’approccio sull’AI, una quota simile a settori sentiti come urgenti come, per esempio, la protezione dati, gli ambienti cloud misti o il controllo nazionale sulle informazioni digitali.

Falcone ha affermato che norme chiare e accessibili aiutano a creare sistemi più sicuri, insieme con altri fattori. Il manager ha usato l’open source come esempio: a suo parere funziona bene per diffondere metodi efficaci, permette maggiore adattabilità, anche nei budget. Secondo una nota di Red Hat, essere autonomi e resilienti non vuol dire usare sistemi chiusi. Dipende invece da ambienti aperti. Grazie al software libero, le imprese decidono dove tenere i loro dati; decidono pure come organizzare i propri strumenti tecnologici e con quali partner lavorare. Il controllo arriva quando si coopera, non stando isolati.

L’ecosistema per superare ostacoli e accelerare l’adozione

Giampiero Cannavò, Regional Director, Head of Med & Italy Ecosystem di Red Hat, ha ripreso la questione del sistema integrato. Secondo il manager, l’AI ha bisogno di strutture accessibili e adattabili; serve formazione costante, però soprattutto attenzione a situazioni pratiche con risultati chiari. Cannavò ha fatto notare che i fornitori di cloud, insieme con i tecnici che collegano sistemi vari e ai programmatori autonomi, contano molto nelle applicazioni più evolute, trascinando tutto verso modelli facili da spostare, chiari e senza vincoli esclusivi. Per Cannavò, il percorso è evidente: gestire l’AI richiede collaborazione, dato che agire da soli significa rischiare di restare indietro.

Nelle vicinanze dell’AI, anche la questione sul controllo dei dati resta centrale. Entro un anno e mezzo circa, le imprese italiane metteranno al centro chiarezza negli strumenti, tracciabilità nelle operazioni, protezione nella catena di approvvigionamento oppure funzionamento senza interruzioni. L’aumento del lavoro con l’AI, insieme con il valore sempre maggiore dei dati, spinge a potenziare il controllo operativo; di conseguenza anche l’autonomia delle strutture diventa più marcata.

L’idea che ne esce è quella di un Paese che ha capito quanto sia importante l’AI e ora ci mette soldi senza esitare. Di contro, il livello di preparazione culturale e tecnica stenta a tenere il passo con questa spinta improvvisa. Nei prossimi anni, l’obiettivo sarà cambiare soldi spesi e prove varie in risultati concreti, mettendo d’accordo capacità diverse, informazioni, regole chiare e strutture utili. Poi, seguendo quanto dice Red Hat, agire basandosi su norme libere, gruppi che lavorano insieme e un’idea di controllo digitale fondata sulla possibilità di decidere liberamente.

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