Intelligenza Artificiale, tra pensiero laterale ed etica
L’Intelligenza Artificiale (AI) sostituirà l’essere umano? La domanda, in realtà, rischia di essere sterile, soprattutto perché nasce da un presupposto errato: l’AI non è un avversario, ma una rivoluzione epistemologica che sta riscrivendo le regole della conoscenza e della cooperazione. Non si limita a potenziare le nostre capacità operative, ma ne ridisegna la logica, il modo in cui le coordiniamo. Non elimina il ruolo dell’operatore, ma lo spinge a muoversi in maniera più sistemica, a ripensare il proprio rapporto con l’esistente. È uno scenario che richiede una nuova immaginazione organizzativa.
Se n’è discusso al Festival del Futuro Education 2025, evento di scenario che approndisce innovazioni e tecnologie e dedicato quest’anno al tema “Intelligenza responsabile: dall’Uomo vitruviano all’Uomo del silicio”. Giovedì 27 novembre, un dialogo particolarmente approfondito ha visto protagonisti Chiara Lupi, Direttrice Responsabile di MIT Sloan Management Review Italia (rivista di Edizioni ESTE, promotrice dell’evento), e Gianni Dal Pozzo, Amministratore Delegato di Considi, società attiva da oltre quarant’anni nell’Operations & Innovation Management e prima joint-venture italo-giapponese ad aver portato in Italia il Toyota Production System. Dal Pozzo è anche autore del volume Nuove tecnologie. Nuova civiltà (Edizioni ESTE, 2024).
L’AI genera nuovi modelli di business
Per comprendere cosa significhi davvero il passaggio dall’Uomo vitruviano all’Uomo del silicio, Lupi ha richiamato il pensiero degli economisti Philippe Aghion e Peter Howitt, premi Nobel 2025 per la loro teoria della crescita basata sulla “distruzione creativa”. Innovare, per loro, significa introdurre qualcosa di nuovo – dunque creare – ma anche superare ciò che non è più adeguato, come le aziende che non adottano nuove tecnologie sono rapidamente sorpassate.
Ma le aziende sono davvero consapevoli della portata di questo cambiamento? “La potenza creativa dell’AI è indiscutibile, anche se non sappiamo ancora dove ci conduce una tecnologia tanto dirompente. Per capirne la scala, pensiamo al paragone più immediato: l’era dell’AI è paragonabile all’era di Internet. Nessuno rinuncerebbe oggi al web, e accadrà lo stesso con l’AI”, osserva Dal Pozzo. Con una differenza: la velocità. Se i primi 100 milioni di utenti Internet furono raggiunti in sette anni, la versione 3.5 di ChatGPT ha impiegati appena 60 giorni. “È un salto esponenziale. L’AI genererà modelli di business che oggi facciamo fatica persino a immaginare. È creatrice, ma anche distruttrice, perché sostituirà i lavori a basso valore aggiunto”.
Evitare la formazione superspecializzata
E, parlando di velocità, se l’AI eccelle nell’analisi veloci, quali competenze diventeno strategiche per l’uomo? Il dialogo ricorda un punto essenziale: le macchine forniscono risposte, ma non pongono domande. Una distinzione decisiva. Come sottolinea Dal Pozzo, la riflessione è coerente anche con il pensiero di Peter Diamandis, fondatore della Singularity University, secondo cui entro il 2029 potremmo avere una superintelligenza artificiale più potente, sul piano cognitivo, dell’intera umanità. Eppure, anche in quello scenario, non vince l’algoritmo più sofisticato, ma chi è in grado formulare le domande migliori.
Il valore umano si sposta così su competenze come il pensiero laterale – la capacità di collegare elementi che statisticamente non hanno nesso – e il discernimento etico, cioè la capacità di decidere ciò che è giusto o sbagliato, dimensione che nessuna macchina può possedere. Da evitare, invece, la superspecializzazione, destinata a essere rapidamente superata dall’AI. “Serve una formazione ampia: tecnici che sappiano leggere un bilancio e umanisti che sappiano fare di conto”.
I robot come colleghi nelle fabbriche del futuro
Nonostante il dibattito crescente, l’adozione dell’AI nelle imprese italiane rimane limitata. Secondo i dati ISTAT, nel 2024 la utilizza soltanto il 6,9% delle piccole aziende e il 14,7% delle medie e grandi. “Il divario tra chi ha compreso la portata dell’AI e chi ancora dubita del suo valore è evidente. Ma oggi è impensabile non avere una strategia in questo campo”, afferma Dal Pozzo. Uno degli errori più diffusi, soprattutto nelle realtà più piccole, è delegare l’AI ai sistemi informativi come semplice esperimento, spesso con l’obiettivo di migliorare l’efficienza. Occorre invece ricordare che l’AI non è un tool, ma una leva per ripensare i modelli di business.
In questo scenario, la manifattura deve giocare un ruolo centrale e, al tempo stesso, mostrarsi ai giovani per superare l’immagine delle officine come luoghi di fatica, quasi dickensiani. “I robot umanoidi svolgeranno le attività manuali, mentre alle persone resteranno le decisioni, l’ascolto del mercato, l’innovazione di prodotti e processi”, conclude Dal Pozzo. Le fabbriche del futuro non sono soltanto automatizzate, ma soprattutto digitali. Perché è il digitale, oggi, la principale leva abilitante del futuro.
L’articolo Intelligenza Artificiale, tra pensiero laterale ed etica proviene da Parole di Management.