Transizione 5.0, un piano iniziato male e finito… peggio
Sullo ‘strano’ stop al piano Transizione 5.0 sono piovute le ipotesi più disparate di un fenomeno tanto interessante all’inizio, quanto disastroso alla fine. Oggi, non servono le giustificazioni ministeriali o le promesse di un nuovo piano per il 2026 a cancellare quasi due anni in cui molte imprese si sono illuse che potessero beneficiare dei quasi 7 miliardi di fondi messi a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per le agevolazioni nella transizione green e digitale.
Un boccone amaro che ancora oggi pesa tra le aziende che avevano sperato in uno strumento agevolativo del calibro di ciò che fu Industria 4.0 nel 2016. Un piano che, analizzato oggi sui dettami iniziali e successivi, lasciava poco a sperare che fosse semplice accedervi. In primo luogo, le procedure base di accesso, l’approccio alla piattaforma del Gse e le lungaggini in attesa della puntata successiva: si ricordi l’attesa spasmodica della famosa circolare esplicativa che arrivata metà agosto 2024 che ha sparigliato tutte le carte per lunghezza e complessità di comprensione…
La successiva semplificazione, a puntate, della procedura di accesso alla piattaforma non è stata così semplice dato che, a conti fatti, le Piccole e medie imprese (PMI) che sono riuscite a presentare la domanda non sono state poi così tante… Poi c’è stata la rincorsa, a novembre 2025 per accedere ai fondi, ma dei quasi 7 miliardi di euro iniziati, ben 5 sono stati rimodulati su altre misure del Pnrr, lasciandone appena 2 al piano Transizione 5.0. Sappiamo già com’è andata a finire, con molte aziende che si sono mosse, ma con altrettante destinate a restare a bocca asciutta.
Le modifiche del piano erano già scritte
A novembre 2024, e ribadito di recente durante la presentazione del report sulle competenze digitali, era stata Paola Generali, Presidente di Assintel a lanciare l’allarme: “Le modifiche in corso al piano Transizione 5.0 da parte del Governo sono sicuramente migliorative, ma non risolvono il problema principale che non ha finora permesso al meccanismo di decollare”. Dal suo punto di vista c’era però una soluzione: “Perché questo avvenga c’è bisogno che gli incentivi alla digitalizzazione delle imprese siano disgiunti dal ritorno in termini di risparmio energetico. Il calcolo dei risparmi energetici, a cui sono vincolati gli incentivi, è difficoltoso e spesso un disincentivo”.
Il risultato, confermato da Generali era ben al di sotto delle attese: “Sono state poche le adesioni finora raccolte dal Piano; ben vengano le semplificazioni proposte nel decreto fiscale ma bisogna fare un passo ulteriore. Quello di cui c’è veramente bisogno è spacchettare il piano, facendone due, cioè un Transizione 5.0 per la digitalizzazione e un Transizione energetica 5.0, dividendo i fondi e massimizzandone così l’efficacia”. Secondo questa ricetta si potevano realmente aiutare le imprese italiane, che tra le varie sfide, devono far fronte alla carenza di risorse e finanziamenti, che la Presidente di Assintel considerava come il “primo ostacolo alla crescita”. Tutto questo fa ben capire come, gli enti preposti a seguire le aziende avevano già capito e dato indicazioni precise al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) su come sarebbe stato meglio agire.
Gli allarmi erano ben fondati
Oltre ad Assintel, altre associazioni di imprese (per esempio Confindustria) sono insorte, in particolare rispetto allo stop arrivato senza preavviso, considerato un segnale di instabilità o di mancanza di pianificazione coerente. La pezza, secondo Assolombarda, è arrivata dal Mimit che ha sottolineato di essere al lavoro per reperire risorse aggiuntive, per dare continuità alla misura o per trovare un ‘rifinanziamento’. Tuttavia, non è garantito che queste risorse arriveranno o che permetteranno di soddisfare tutte le domande rimaste in lista d’attesa.
Secondo la Cna di Modena molte aziende potrebbero restare escluse, pur avendo progetti già avviati, ma non ancora finanziati; la situazione può comportare rischi economici (per esempio ordini già dati, acconti pagati): per associazioni come Assolombarda, una chiusura improvvisa è un segnale negativo sulla stabilità delle politiche di incentivazione. Infine, c’è da rilevare che il Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale ha spiegato che le richieste ricevute fino al 31 dicembre 2025 restano valide, ma verranno esaminate in base alla disponibilità futura e in ordine di prenotazione.
Il rinvio della richiesta per accedere ai contributi
L’ennesima svolta (o toppa) è il Decreto-legge del 20 novembre 2025 che avrebbe dovuto lanciare acqua sul fuoco dei recenti malumori che si sono registrati su tutti i fronti. L’iniziativa in questione prevede lo slittamento della chiusura della piattaforma di accesso ai contributi per il 27 novembre 2025 al fine di accompagnare le aziende che abbiano già inviato la domanda per agevolazione e avessero i requisiti necessari, di beneficiare dei fondi e, al contempo, permettere a chi volesse ancora fare richiesta, inviare la domanda dalla piattaforma stessa.
Basterà questa proroga? A giudicare dalle reazioni del Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, rilasciate a margine dell’assemblea 2025 di Sicindustria e riprese da Il Sole 24Ore, si potrebbe aprire uno spiraglio positivo. Ma secondo il vertice di Confindustria si sarebbe potuta estendere questa ‘proroga’ fino a fine 2025.
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